Il cedimento della diga del potere
Oct 03, 2023L'approssimazione, l'incuria e gli errori sembrano probabilmente più presenti oggi di ieri, ed è forse anche per questo che risuona così vivo e pressante il ricordo delle 1.910 vittime del Vajont, di cui 487 avevano meno di 15 anni.
Della sera di quel 9 ottobre 1963, e dei giorni immediatamente successivi, Gian Carlo Pasquetto (tra le prime persone a essere intervenute) ha ricordato in più occasioni: "I primi quattro giorni furono davvero i più difficili, non dimenticherò mai il silenzio che c'era fra di noi, un silenzio di rispetto per le vittime".
E ancora: "Sotto un tendone enorme al centro della vallata con una pompa d'acqua lavavano i cadaveri per poi consentirne il riconoscimento".
E poi Giuseppe Vazza, un altro sopravvissuto: "Un rumore che non usciva dalle orecchie, ma dalla terra, che entrava in corpo fino a farti scoppiare la testa".
Censura politico-economica di Stato
Sessant'anni dopo, lo Stato non ha neanche più il bisogno di intervenire direttamente, di sporcarsi le mani, è sufficiente il muro di gomma di cui la Rai (soprattutto questa Rai di questo governo) è precettrice riconosciuta dell'esercizio del potere: "Dopo sessant'anni il Vajont in Italia fa di nuovo paura al potere: nessuna televisione, a partire dalla Rai, ha accettato di trasmettere il riscritto racconto della tragedia, in occasione dell'anniversario del 9 ottobre... nessuno sponsor, tantomeno istituzionale, ha accettato di investire per collegare in rete gli oltre cento teatri del Paese che la sera del 9 ottobre metteranno in scena il peggior disastro industriale della nostra storia: un no dietro l'altro... si è mobilitata solo la gente: gratuitamente migliaia di persone trasformeranno il mio monologo in un coro di popolo su uso e valore dell'acqua, e l'eccezione è Sergio Mattarella, salito a Longarone non per restare nel passato, ma guardando al futuro... il presidente non sale sulla diga del Vajont per retorica: sa che altri Vajont non sono possibili, bensì probabili e imminenti, e chiede a chi governa di imparare dagli errori di chi ha governato", afferma Marco Paolini.
"Altri Vajont non sono solo possibili, ma probabili e imminenti": Paolini interviene sulla cronica ignavia e sull'ormai premeditata latitanza della politica.
Nonostante ogni pubblica istanza remi nella direzione esplicita e riconoscibile di una crisi sempre più irreversibile (le scienziate, gli artisti, le studentesse, gli attivisti, le casalinghe di Voghera), i rappresentanti politici non hanno la capacità, non hanno il coraggio, e soprattutto non hanno la volontà di intervenire oltre lo squallore del calcolo elettorale e al di fuori dell'appartenenza di partito, rabberciato sinonimo di miserevole consenso di potere.
E mentre la commemorazione della tragedia del Vajont si svolge senza il sostegno dei media e degli sponsor, emerge la forza della solidarietà e della partecipazione: la trasversale presenza di migliaia di persone che si uniscono per onorare le vittime e riflettere sull'importanza dell'acqua come risorsa vitale, dimostra che la memoria comune e l'azione collettiva possono superare le barriere dell'indifferenza e dell'interesse personale.
Cioè, dell'indifferenza e dell'interesse politico.
In estate fa caldo
Marco Paolini prosegue: "Va aperta una riflessione sul cedimento del potere alla paura, sul successo democratico di una storica sconfitta: quando Matteo Salvini, davanti ai ghiacciai alpini condannati a morte, si limita a osservare che in estate fa caldo, nessuno si alza davanti a lui per dirgli che mai ha fatto tanto caldo, che si fatica a respirare, che in quota manca l'acqua da bere... quando si teorizza il reato di solidarietà, non si alza un coro collettivo per ricordare che le migrazioni non sono un'emergenza, ma l'elemento fondativo della storia umana e delle civiltà: il Vajont del potere è negare l'evidenza".
Quel potere che, ancora oggi, si nasconde nella torre d'avorio della comunicazione univoca, unilaterale e ufficiale, che non accetta il confronto, che nega la possibilità (politica ed economica al tempo stesso) di esprimere un'idea, di ascoltare un'alternativa, di mettersi in gioco individualmente e socialmente al di fuori dei calcoli di convenienza strumentale tipici della politica del nostro Paese.
Distrazioni di Stato
Cody Kommers, scienziato del comportamento, ha scritto: "La prima cosa che facciamo con gran parte delle informazioni che acquisiamo sul mondo è dimenticarle".
E il potere, infatti, distoglie, distrae, allontana e mistifica.
E le emanazioni del potere, tanto l'industria quanto l'informazione, costruiscono e raccontano contesti e scenari di cartapesta, muri di gomma impenetrabili al di fuori del collante malsano delle collusioni politiche.
Ma sono significative la trasversalità del dissenso e la portata crescente dei sentimenti di (sana e vitale) ostilità nei confronti di uno status quo socio-ambientale suicida: "Non sono i giovani a delegittimare scienza e cultura, sorprende la durezza contro chi sporca un monumento da parte di chi serenamente distrugge il pianeta".
Francesco Scura '23
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