L'umanità dei peluche e lo Stato dei cadaveri
Mar 11, 2023Tra il 18 e il 19 febbraio sbarcano i primi migranti al porto di Civitavecchia, neanche una settimana più tardi, di fronte alle coste calabresi, muoiono più di settanta persone in un barcone alla deriva.
Settantacinque proprio mentre scrivo, proprio mentre dal mare affiora il corpo di una bambina di non più di cinque anni.
Il 9 marzo, più di dieci giorni dopo la strage (e più di dieci giorni dopo l’inizio del volgare scarico istituzionale di responsabilità), il governo, con un senso del tempo pari almeno alla latitanza dei principi basilari di umanità, sfila nel tradizionale corteo di macchine blindate nel paese di Cutro, in provincia di Crotone, per una riunione del Consiglio dei ministri.
Non nel nostro nome
Corteo che sfila al grido ripetuto di "Assassini!" da parte di centinaia di persone, mentre tanti peluche colorati vengono lanciati, in un segno di sfregio manifesto, contro i cordoni di protezione delle forze dell’ordine e contro le macchine che scorrono veloci e in sicurezza.
Rappresentazione di insopportabile contraddizione, ancor di più nel momento in cui dai manifestanti si percepisce distintamente la volontà di affermarsi diversi rispetto al corteo istituzionale: "Calabria, terra di emigrati".
Il 19 febbraio, a Civitavecchia, c’ero anch’io: fin dall’alba ero al molo designato del porto per uno dei servizi di prima assistenza con un’organizzazione umanitaria: ogni rappresentante presente lì, in quel momento, poteva avere una duplice lettura, quella dell’assistenza nel senso più letterale del termine (Croce Rossa, Protezione Civile) e quella della difesa, in un’accezione decisamente meno letterale, del proprio spazio, dei propri confini, del proprio isolato benessere.
Contraddizioni inesorabili e costanti come quelle emerse parlando e confrontandomi con gli stessi rappresentanti delle forze dell’ordine che attribuiscono la scelta del porto di Civitavecchia (e di altri anche più a nord) come uno dei modi, uno dei tanti modi, per tenere lontane le navi che possono salvare le persone in difficoltà dai punti nevralgici del soccorso.
Oggi come ieri, come sempre, l’umanità e la solidarietà sono prerogative individuali, e mai di corporazione, di rappresentanza o di Stato.
Una trincea di distanza sociale
Oggi, 11 marzo, mentre è in corso la manifestazione nazionale a Cutro "Fermiamo la strage, subito!" il governo della nostra Repubblica auto-alimenta la propria trincea di distanza sociale con l’effimera percezione di un potere precario, parziale, condannato a franare sulle sue stesse instabili fondamenta.
Il primo articolo della "Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea" enuncia il principio secondo cui la dignità umana è inviolabile e, in via derivata, la legge nazionale tutela l’interesse di ogni persona all’onore, al decoro e alla reputazione, dove per onore si intende il valore sociale dato dalle doti morali, per decoro il valore sociale dato dalle attività intellettuali e concrete che ne determinano un pregio nell’ambiente in cui vive e, infine, per reputazione si intende l’opinione che gli altri hanno dell’onore e del decoro della persona stessa.
Quale dignità, quale onore, quale decoro e quale reputazione per chi, in un peculiare ruolo istituzionale, gira vigliaccamente la testa dall’altra parte, non potendo metaforicamente sostenere lo sguardo dei cadaveri nelle bare?
Sempre il 19 febbraio, a Civitavecchia, l'equipaggio della nave Life support di Emergency esprimeva in tanti piccoli gesti esattamente la sintesi (tanto umana, quanto giuridica) di dignità, onore, decoro e reputazione: nulla di esteriore, sopra le righe, superfluo, solo l’umanità che ognuno di noi si aspetterebbe nel momento in cui fosse costretto a scappare da una vita invivibile con la sola, flebile speranza di incontrare altri esseri umani che sappiano essere umani.
Francesco Scura '23
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