La terza età della ragione e la banalità del male

anagni chiara bellini domenico de carolis francesco scura hannah arendt letizia roccasecca otto adolf eichmann vincenzo petitti Jun 03, 2017
 

La compenetrazione di Chiara Bellini nella passione che lei declina, primus inter pares, nelle mille sfumature della professione ha un'essenza di rivoluzione empatica.

 

Il privilegio che continuo ad avere ormai da diversi anni a questa parte mi permette, proprio oggi che lei sarà ancora una volta in prima linea, di fermarmi, sedendomi sul bordo di un flusso inarrestabile, e guardare non tanto indietro, ma attraverso un'esperienza che si è fatta lavoro di giorno in giorno e che, di giorno in giorno, si riconfigura in modelli ogni volta "superiori", più completi, più vitali e necessari.

L'ascolto

Costruendo (anche) "Gli anni verdi", Chiara Bellini si è messa nuovamente in una posizione di ascolto: ma in una sorta di ascolto a due e più vie, capace di essere esso stesso la destinazione dell'invidiabile passione civile dei "suoi" personaggi e, al tempo stesso, cassa di risonanza dell'urgenza dei sentimenti di rivolta, giustizia ed equità sociale che noi tutti, quando anche momentaneamente non ci appartengono nel nostro essere una comunità sociale, dobbiamo ricordarci di esprimere.

Torniamo alla costruzione.
Chiara Bellini, saldamente, stimolava e aggregava ogni forma di risorsa utile e indispensabile affinché la storia di Letizia, Mimmo e Vincenzo (ancor prima del film) potesse spiccare il volo in una forma che per loro (protagonisti di vita, protagonisti di un percorso la cui portata ad oggi è difficile pensare di comprendere appieno), e di loro, fosse pienamente rispettosa e compiuta: costruzione di cui, probabilmente, solo lei aveva una consapevolezza integrale.

In una dimensione che non sempre mi è appartenuta, (pur) lavorando con lei, l'ho osservata per mesi e mesi.
E osservandola, riuscendo anche a guardare oltre la mera quotidianità delle difficoltà e delle scelte, più di una volta ho pensato che quel tipo di lavoro, l'espressione di "quella" necessità, era la nuova tappa di un viaggio molto più lungo, iniziato tanto tempo prima, e che di generazione in generazione si auto-alimenta senza sosta.

La peggiore arte di arrangiarsi

La storia si intrecciava e si dipanava nei mille rivoli della peggiore arte italiana di arrangiarsi, nei paradigmi più scontati e banali (e non certo meno gravi e ripugnanti) dell'interesse di delinquere.

Interesse così acuto e diffuso da rendere sfumato, opaco e quasi congenito anche il confine (criminale) tra interesse collettivo e interesse personale.

"La banalità del male": Chiara Bellini aveva ancora una volta, come ben prima durante il processo Eichmann e chissà quante altre volte per le future generazioni, aperto e scoperchiato la latrina in cui chi delinque seppellisce la propria dignità.

E tanti, troppi morti incolpevoli.

Continuavo a osservarla, e richiamavo alla memoria le centoventi sedute del processo Eichmann, in cui Hannah Arendt nel 1961 prendeva nota non solo del singolo devastante "caso" giudiziario, ma del filo rosso che lega e annoda l'incapacità umana di affrancarsi da sé e progredire.

Storia umana e di umanità

"Gli anni verdi" è una storia umana, di un'umanità che a volte dimentichiamo di avere, ma è umana anche per le vicende criminali che la attraversano, per la leggerezza delle scuse che la condizionano, per la miseria irresponsabile dei danni che creiamo anche solo girando la testa dall'altra parte.

Ma "Gli anni verdi" è anche la storia di un processo. Un processo ancora in corso, un processo come mille altri processi tutti legati dal fatto di essere sempre, comunque, imperscrutabilmente "in corso".

Confidando che in questo reiterato e continuo hic et nunc sia risparmiata la stoltezza della strategia difensiva che affermò che "Otto Adolf Eichmann, in fondo, si era solo occupato di trasporti".

E quanti, oggi, si stanno solo occupando di trasporti?

Chiara Bellini è stata lì, anche lei in ogni seduta, al suo posto, incurante degli ostacoli che a vario titolo si sono posti tra lei e oggi.

Oggi.

A Torino.

Ancora in prima linea.

 

Francesco Scura '17

 

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