Marketing del greenwashing
Aug 29, 2023Secondo più di un'indagine e diversi rapporti indipendenti, da Greenpeace all'Osservatorio di Pavia, le tematiche legate al clima arrancano e faticano a emergere sui media italiani.
O meglio, si dà grande spazio alle tragedie umane e sociali di cui il cambiamento climatico è un'evidente componente causale, ma senza spingersi oltre, cioè senza arrivare a una definizione precisa e organica di ragionevoli responsabilità e, quindi, di scenari e prospettive risolutivi.
Evidentemente non a caso, dato che altrettanto non avviene per le pubblicità delle aziende inquinanti, che sui principali giornali costituiscono una presenza quasi quotidiana, spesso non essendo altro che stucchevole marketing del consenso e del greenwashing.
Un ottimo esempio è dato dalla cassa di risonanza (conf)industriale per definizione, Il Sole 24 Ore: ogni settimana si possono contare più di cinque pubblicità delle aziende inquinanti e, negli articoli analizzati, è fortemente indicativo lo sbilanciamento di chi (cioè, quale posizione) ha maggiore rilievo e impatto conseguente.
Auto-assoluzione aziendale
Tra gli esperti (scienziati, studiosi, tecnici operativi), le associazioni ambientaliste e le aziende, sono quest'ultime quelle che hanno almeno quantitativamente più voce: il 18,3% contro il 14,5% degli esperti e l'11,3% delle associazioni ambientaliste.
Altro dato che rappresenta un pericoloso elemento di distorsione è la natura contenutistica della narrazione: la crisi climatica è raccontata principalmente come un problema economico nel 45,3% degli articoli, quindi come un tema politico nel 25,2% dei casi e solo in misura marginale come un problema ambientale (13,4%) e sociale (11,4%).
Impatto sociale e bisogno sociale
Pertanto, rilevare (anche) numericamente che il vero e più cogente nervo scoperto del cambiamento climatico, cioè l'impatto sociale, sia all'ultimo posto delle dinamiche di costruzione narrativa è probabilmente l'elemento più inquietante delle rappresentazioni statistiche, proprio perché dimostra come si continui (evidentemente in modo deliberato) a non voler riconoscere l'urgenza e l'impellenza di intervenire secondo una scala di priorità ormai incontrovertibile.
Cioè, un bisogno sociale, e nella direzione di una reale e trasversale equità socio-ambientale.
Invece, alla fine dei conti, l'industria dei combustibili fossili continua impunemente a esercitare una pericolosa influenza sul racconto giornalistico, un racconto in cui le fonti fossili e le aziende del gas e del petrolio sono raramente indicate tra i principali responsabili del riscaldamento del pianeta.
Risultandone così una cronaca (parziale e distratta) di un delitto senza colpevoli, che impedisce alle persone di percepire la gravità del problema e ignorando (con colpevole e premeditato ritardo) le soluzioni di cui avremmo urgente e lungimirante bisogno.
Francesco Scura '23
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